Mornings are for coffee and contemplation

Rajani & Ethel || Studio legale || Mattina

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.     +1   +1   -1
     
    .
    Avatar


    Group
    Master
    Posts
    25,878
    Reputation
    +159
    Location
    Accademia di Monsieur De Tréville

    Status
    Anonymous
    x9cVW3N
    Rajani Bronstein
    Master
    Scheda: xxx
    Classe: Assassini
    Età: 29
    Professione: Profiler
    Abilità: Assassinio
    Avevo da poco incontrato il mio Servant e ne ero estremamente entusiasta! Sentivo l’adrenalina scorrermi prepotentemente nelle vene ogni volta che ripensavo a lui. Quando avevo scoperto di essere stata scelta dal Graal per prendere parte alla sua guerra, ne ero stata sorpresa. Non sapevo nulla di quell’oggetto, non credevo che esistessero cose come i Servant ed i Master, per non parlare della magia! Per quanto mi riguardava, la magia era solo una sciocchezza da film! Eppure ora ero stata coinvolta in qualcosa di estremamente surreale, magico, ma tangibile. Qualcosa che esisteva davvero. Non stavo sognando, non lo avevo mai sospettato: i miei sogni non vertevano su qualcosa di irreale. Nei miei sogni non c’era la magia, non c’era niente che non potessi avere realmente. Era stato facile ottenere il trasferimento in Islanda: mi era bastato rispolverare un vecchio caso islandese e sottoporlo a Gideon, dirgli che desideravo studiare come la polizia locale lo aveva risolto, che desideravo studiare le ricerche dei colleghi islandesi per un approfondimento personale, ed ecco che avevo ottenuto una trasferta di un paio di settimane, a spese dei contribuenti americani. Niente male: avevo la vacanza pagata. Ovviamente non avevo alcuna sicurezza che la guerra sarebbe durata due settimane, ma mi auguravo che la questione non mi prendesse più di una quindicina di giorni. Per quanto mi elettrizzasse la possibilità di prendere parte ad un contesto come questo, non volevo stare troppo lontana dalla mia America. Dai miei giri, dalle mie persone. Avevo lasciato un conto in sospeso a Washington, un conto che desideravo chiudere quanto prima. Non lasciavo niente in sospeso, e non avrei lasciato in sospeso nemmeno lei.
    “Ti divertiresti immensamente qui con me, Vic” ragionai sogghignando. Ma Victoria non era una Master, io lo ero, e non avevo il permesso di parlarle della mia avventura islandese. Nei miei pensieri era scontato il mio ritorno alla mia vecchia vita, davo per scontata la mia sopravvivenza in questa epica battaglia. Era la prima volta che vi partecipavo e a differenza di altri, non ero stata cresciuta sognando questo momento. I miei familiari non mi avevano addestrata sin dal mio primo respiro per conquistare il Graal. Ero ben consapevole di essere un’outsider, ma era un ruolo che mi era sempre appartenuto. Non ero mai stata particolarmente inserita in nessun ambiente che abbia frequentato, sebbene mi ci sia sempre sentita a mio agio. Ritenevo che il mio mondo fosse da un’altra parte, fosse dietro il velo. Quella era la dimensione alla quale appartenevo, una dimensione tutta mia, una dimensione dove vivevo in completa solitudine. Avevo conosciuto un’altra lupa solitaria, come me, e quella creatura era Victoria. Odiavo ed amavo Victoria, provavo emozioni ribollenti come lava nel cratere di un vulcano, e non sapevo se desiderassi baciarla sino a portarla alla morte o ucciderla ed onorare il suo cadavere seppellendolo nel posto più bello che conoscessi.
    Victoria non avrebbe saputo quante persone avrei ucciso qua in Islanda, sebbene avrebbe potuto supporre che mi sarei lasciata qualche cadavere alle spalle anche nella mia trasferta. Victoria era l’unica persona a sapere che c’ero io dietro alcuni degli omicidi che devastavano gli Stati Uniti. Esattamente come io sapevo che c’era lei dietro altri assassinii perpetrati ai danni degli individui i più disparati. Avevamo due modus operandi opposti, forse era per quello che non avevamo mai operato assieme. Però io amavo vestire i panni da profiler e darle la caccia, pur consapevole che non l’avrei mai arrestata. Ai miei occhi, era perché non volevo rinunciare al divertimento di inseguirla, mentre una mente più obiettiva avrebbe sostenuto che era perché Victoria era imprendibile.
    Non sapevo perché mi fossi fissata a pensare a lei, mentre percorrevo le strade di Reykjavík sotto una leggera spolverata di neve. Indossavo uno spesso cappotto rosso, con il colletto tirato fino ai lobi delle orecchie. Lasciavo lievi impronte di stivali lungo il marciapiede, ma non temevo il freddo. Il tragitto che collegava il mio albergo allo studio legale non era particolarmente lungo e la piccola pausa presso un bar dove ordinai tre caffè e tre cornetti d’asporto non influì sul percorso. Spinsi la porta d’ingresso dello studio con una sicurezza da proprietario dello stesso, e rivolsi alla reception una rapida occhiata, quanto bastava per comprendere che non era la persona che stavo cercando. Avevo mandato Saber in ricognizione, nei giorni scorsi, e gli avevo chiesto di tornare da me con delle informazioni. Volevo scoprire chi fossero i miei avversari. Non mi interessava degli altri Servant: volevo saperne di più degli altri Master. Caesar era tornato da me con alcuni nomi, ed avevo deciso di cominciare dalla prima. Non sapevo chi fosse, ma Saber mi aveva fornito una descrizione piuttosto accurata di Ethel, la segretaria, e di dove fosse la sua scrivania.
    «Caffè e cornetto per te, e per la mia amica Ethel» esordii rivolgendomi alla centralinista, lasciandole sul bancone la colazione. Mi regalò un largo sorriso al quale risposi con una smorfia più contenuta, e mi diressi verso la mia vitt… ehm, l’altra Master.
    «Ciao tesoro» esordii sedendomi sulla sua scrivania, a voce sufficientemente alta perché la receptionist mi sentisse e credesse al siparietto che avevo costruito. Ero solo un'amica generosa che portava la colazione, niente di sospetto, niente di cattivo. «Ti ho portato caffè e cornetto.» Pescai dal sacchetto che avevo lasciato sul tavolo il mio cornetto integrale con marmellata di frutti di bosco e ne addentai la punta, gli occhi fissi in quelli di Ethel, la segretaria. Non sembrava particolarmente pericolosa, ma sapevo che il mio sbaglio più grande era sottovalutare l’avversario.
    Put the venom, inside my veins,
    it's my decision, it's my decision.
    And I don't care, of your opinion,
    it's my delirium, It's my delirium.
    code © skyfäll


    Edited by enjolräs - 7/12/2020, 21:00
     
    Top
    .
  2.     +1   +1   -1
     
    .
    Avatar

    Senior Member

    Group
    Servant
    Posts
    17,509
    Reputation
    +17
    Location
    Hell, don't you know?

    Status
    Offline
    Ethel Ingrid Larsson
    Master
    Scheda: xxx
    Classe: Strega
    Età: 26
    Professione: segretaria
    Servant: ///
    Abilità magica: criocinesi
    Umore: stanca
    I miei zii e mio padre, tramite Skype, nel suo caso specifico, non facevano altro che mettermi in guardia circa coloro che erano “Master”, come la sottoscritta. Molti di loro, se non quasi tutti, erano entrati in contatto del loro “Servant”, a differenza di me. Dal canto mio sapevo dell’esistenza di ambo le categorie, avevo studiato che cosa significasse ricoprire ambo i ruoli, ma non sapevo che cosa aspettarmi. Ero in grado di gestire il ghiaccio, certo, ma non sarebbe, per ovvie ragioni, bastato contro soggetti che si preparavano da una vita a portare a compimento il sogno delle loro esistenze: vincere il Santo Graal. Io non ambivo a vincere, solamente a partecipare e, nel mentre, sperare di non rimetterci un braccio, se non una gamba o, addirittura, l’osso del collo e lasciare, definitivamente, quel mondo tanto crudele, quanto subdolo.
    Ogni volta che mio padre ed i miei zii smettevano di sobillarmi con quelle mere parole circa il Graal, io mi rintanavo nella mia stanza e lasciavo che le vecchie foto, scattante negli anni precedenti, mi riscaldassero, in parte, il cuore. In esse eravamo raffigurati John ed io, quando stavamo ancora insieme. Fin troppe volte avevo pensato di chiamarlo, se non scrivergli anche solo un messaggio. Mi ero trattenuta e non sapevo ancora il vero e proprio motivo o, almeno, non volevo totalmente razionalizzarlo.
    Ci eravamo lasciati senza dire una parola, allontanandoci in maniera netta, per colpa del mio ex di Lund, Matias. Non avevo voluto io quel bacio così plateale. Il mio ex ragazzo era troppo massiccio rispetto alla mia persona e non ero riuscita ad allontanarlo, quindi John aveva assistito a quello scempio e, senza dire una parola a nessuno, si era allontanato, aveva preso la sua macchina ed era sparito all’orizzonte, in quella fredda serata di anni prima.
    Ancora avevo una nostra foto nel desktop del mio portatile e non riuscivo a convincermi a cambiarla per nulla al mondo. quei momenti felici erano come una sorta di freno a mano che mi impediva di farmi del male durante gli esercizi per imparare a governare, a dovere, il mio potenziale magico. Era ironico, tutto ciò. John, colui che non aveva abbastanza coerenza mano-occhio da permettergli di poter prendere parte a qualunque genere di sport, in quanto privo di coordinazione, era un mago più potente di me. Lui governava il fuoco e, una volta che lo ebbi ammesso a mia zia, lei cominciò a dirmi che, prima o poi, il Graal, durante la guerra, mi avrebbe chiesto di decidere tra il mio cuore e la mia mente, il mio onore.
    Con quei pensieri in testa entrai, di buonora, nello studio di avvocati nel quale ero segretaria di uno di loro. Dietro al bancone, nell’ingresso, vi era Ogla, la fidata centralinista che sempre e comunque sorrideva a chiunque. Quella ragazza, più o meno della mia età, era come la sorella di chiunque, la migliore amica di chi le permetteva di entrare nella propria vita. insomma, una bella persona solare. L’esatto opposto della sottoscritta, quando ero al lavoro, se non chiusa nella mia stanza, rimuginando circa il mio dannatissimo passato.
    Risposi ad una e-mail ed abbassai la pagina relativa al programma di posta elettronica dell’ufficio. L’immagine che avevo come sfondo del desktop, nel portatile, mi fece distrarre per una manciata di istanti dall’ambiente circostante. In quella foto vi era la sottoscritta con il capo appoggiato ad una spalla di John, di quel ragazzo che mai avrei dovuto lasciare che si allontanasse dalla mia vita. la mano destra, sul mouse, tentennò per qualche istante. Quella foto mi ricordava fin troppi momenti felici, ossia quella serata passata prima al cinema, nel quale avevamo immortalato quel momento di giubilo, e, successivamente, in un pub. Se chiudevo gli occhi, ancora sentivo il profumo del maglione di John.
    Chiusi gli occhi e cercai di scacciare quella dannatissima nostalgia che, in quel momento, era divenuta, deliberatamente, una canaglia con la c maiuscola. La mano, ancora sul mouse, al lato del portatile, tentennò nuovamente per poi portare a compimento un semplicissimo gesto fluido, quanto delicato, non drastico e diretto. Il puntatore, sul monitor del portatile, andò esattamente sull’icona di Telegram ed il mio indice dentro cliccò due volte, aprendo il programma.
    Non potevo scrivere a quel ragazzo. Non ci sentivamo da anni. Rischiavo di allontanarlo ulteriormente, di farmi bloccare, di passare per una stalker, ma, onestamente, dopo tutto quel tempo lontani, separati, chissà se lui era ancora single. Magari aveva trovati una ragazza bellissima e conviveva con lei. dovevo farmi da parte. Anche se, ad essere onesti, morivo dalla voglia di scrivergli anche solo un “ciao”, seguito da un semplicissimo “mi manchi”, se non un “mi dispiace” ed un “posso spiegare”.
    Le dita andarono a posarsi sulla tastiera integrata del portatile, ma non fecero in tempo a scrivere nulla, nella chat di John. Una voce squillante, cristallina, fece sì che il silenzio che aleggiava in quegli uffici, dediti all’esercizio della professione legale, venisse soppiantato in pochissimi istanti.
    Chiusi velocemente Telegram, nel portatile ed aprii, nuovamente, il programma di posta elettronica per occultare quella foto che spiccava come sfondo del mio desktop. Solamente Ogla l’aveva vista e, sinceramente, spiegare ad una completa estranea chi fosse con me, in quella foto, era escluso.
    Alzai, quindi, un sopracciglio, quando sentii come mi definì quella figura dal crine biondo platino. Non la conoscevo e, certamente, chiunque sapeva che non sopportavo quando mi si chiamava “tesoro”. Solamente una persona aveva il permesso di farlo e, purtroppo, non avevo più rapporti con quest’ultima. Osservai la giovane donna avanzare verso la mia scrivania e sedersi su di essa, posando, accanto al mio portatile, un sacchetto di una caffetteria poco distante.
    « Grazie per il pensiero, ma… Lei sarebbe… ? »
    Le iridi scure che cercavano quelle della nuova arrivata davanti a me, intenta ad addentare il suo cornetto dalla farcitura estremamente scura, ma non tanto quanto un cornetto al cioccolato. Da quel poco che aveva detto, però, ero riuscita a carpire un’informazione: non era europea. Non ne ero totalmente certa, ma quell’accento non era inglese. Era più riconducibile all’America, ma non ci avrei messo la mano sul fuoco.
    Le braccia incrociate nel maglioncino dallo scollo a v, color mogano, sopra ad una camicetta azzurra chiara, a righe sottili, quanto blu. I capelli sciolti che sembravano crogiolarsi, delicati, sulle spalle, ai lati del mio volto e sulla schiena.
    Stabat mater dolorosa juxta crucem lacrimosa.
    code © skyfäll
     
    Top
    .
  3.     +1   +1   -1
     
    .
    Avatar


    Group
    Master
    Posts
    25,878
    Reputation
    +159
    Location
    Accademia di Monsieur De Tréville

    Status
    Anonymous
    x9cVW3N
    Rajani Bronstein
    Master
    Scheda: xxx
    Classe: Assassini
    Età: 29
    Professione: Profiler
    Abilità: Assassinio
    “Non sembri per nulla pericolosa” mi dissi scrutando più da vicino Ethel, la segretaria. Sì, sì, sapevo benissimo che non avrei dovuto permettere alla mia mente di formulare una simile considerazione, non prima di aver visto la Master all’opera, non prima di averla pungolata un po’, ma non potevo farne a meno. La prima impressione era fondamentale, e chi sosteneva il contrario abbracciava solamente un cliché. L’abito non fa il monaco e tutti gli altri aforismi del genere erano solo stronzate: la prima impressione contava, sempre. Ero una persona che aveva fatto dello studio della mente umana il proprio lavoro ed ero anche dannatamente brava nella mia professione di profiler, e sapevo che tutto si consumava nei primi cinque minuti di conversazione. Si comprendeva subito se una persona valesse la pena o meno, e, no, Ethel non valeva la pena.
    «Grazie per il pensiero, ma… Lei sarebbe… ?» Bastarono quelle semplici parole per farmelo capire e per disegnare sulle mie labbra un sorriso pericolosamente dolce, intenerito. Come se mi stessi rivolgendo ad una bambina, ad una persona a me inferiore. “Sono la persona che ti ucciderà, tesoro” pensai. Ovviamente non lo dissi. Allargai semplicemente il mio sorriso, poggiai il bicchiere di carta del cappuccino al mio fianco, sulla scrivania, e le allungai la mano. Braccio teso, dita distese, in un gesto chiaramente aperto. Il linguaggio del corpo di Ethel, la segretaria, invece, mi raccontava tutta un’altra storia.
    Non era necessaria la mia laurea in Psicologia per sapere che le braccia incrociate al petto erano sinonimo di rifiuto e di chiusura.
    «Rajani» mi presentai seguitando a puntare i miei occhi nei suoi. “Oh, Vic, questa sarebbe piaciuta anche a te. Avremmo potuto giocare e metterla in palio…” Peccato che Victoria non avesse ricevuto la chiamata del Graal, peccato che fosse una cittadina comune (bizzarra scelta di parole, dato che, ai miei occhi, Vic era tutt’altro che comune), peccato che non avrei potuto dirle nulla. Non avrei potuto raccontarle di tutte le persone che avrei ucciso, di come avrei condotto Saber alla vittoria, di come lo avrei visto sgozzare e trafiggere gli avversari con la sua spada. Che grande spreco, partecipare ad una Guerra del genere e non poterla condividere con le persone che contano! Che, per quanto mi riguardava, erano davvero poche. Era, in verità, una persona sola. Victoria. Non avrei parlato a nessun altro del Graal, né di cosa significasse essere una Master. A differenza del Master-tipo, io non ero cresciuta sentendo parlare di questa guerra, e fino a quando il Graal non mi aveva selezionata, non avevo saputo cosa fosse un Servant. Avevo dovuto affrontare una vera e propria full immersion e, tutt’ora, ne sapevo ancora poco. Ma sapevo ciò che contava: stavo partecipando ad una guerra vera e propria, dove la gente moriva, e il mio scopo era quello di non morire. Nulla di particolarmente differente rispetto alla vita che conducevo, in realtà, ed era per questa ragione che mi sentivo così sicura di me. Non avevo particolari poteri, non ero una strega, né una maga, tuttavia avevo le mie carte da giocare e, soprattutto, avevo stipulato il contratto con chi, sulla carta, apparteneva alla Classe più forte in assoluto. Quella che io consideravo la mia marcia in più, corrispondeva all’attitudine all’omicidio. Sapevo più che bene che non tutti fossero portati alla morte, e che uccidere una persona non era così facile come si potrebbe pensare. Si perdeva un pezzo della propria anima, si stipulava un vero patto col Diavolo e no, non intendevo Lucifero. Intendevo la belva oscura che alberga nel cuore di ognuno di noi, e che si liberava dalla gabbia. Poi era impossibile imprigionarla nuovamente.
    Non aveva senso mentire circa il mio nome: Ethel, la segretaria era solo una morta che cammina. Che senso avrebbe avuto celare la mia identità, dato che sarei andata ad ucciderla durante il prossimo mese?
    «Sto cercando di conoscere le persone alle quali dedicherò le prossime settimane della mia vita» soggiunsi allegramente, addentando un altro boccone di cornetto. Terminai la mia colazione con tutta la calma del mondo, come se non stessi parlando di qualcosa di così importante come un conflitto millenario per la conquista di una reliquia sacra e potente. Lasciai che Ethel deducesse da sola quale fosse la ragione della mia presenza lì, sul suo posto del lavoro. Che capisse che l’avevo trovata, che sapevo dove lavorava e, plausibilmente, che sapevo anche dove abitasse. Che non era affatto al sicuro, e che era in mio potere. Beh, quest’ultima deduzione avrebbe potuto modularla solamente se avesse avuto qualche ragione per temermi e, al momento, non gliene stavo dando alcuna. Ma, tornando al discorso iniziale, se fosse stata brava a leggermi, avrebbe capito che ero pericolosa, in un modo che lei non sarebbe mai stata.
    «È dannatamente eccitante, non è vero? Tutta questa situazione» affermai lasciando vagare successivamente lo sguardo per la stanza. No, non stavo valutando se fosse possibile uccidere Ethel in quell’istante: non era mia intenzione farla fuori quel giorno stesso. Avevo solo voglia di conoscere la concorrenza, di valutarla, e di stabilire mentalmente una sorta di classifica e di piano per i giorni futuri. A differenza di Victoria, i miei omicidi erano difatti ben ponderati, e anche in questa situazione non avrei rinunciato al freddo calcolo. La Guerra del Graal era una partita a scacchi, ed io difficilmente perdevo.
    Put the venom, inside my veins,
    it's my decision, it's my decision.
    And I don't care, of your opinion,
    it's my delirium, It's my delirium.
    code © skyfäll
     
    Top
    .
2 replies since 5/12/2020, 22:19   118 views
  Share  
.
Top