They're taking me to parts of my mind that no one can find.

John Cýrus Daníelsson x Ethel Ingrid Larsson || Reykjavík ; Before The War

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.     +1   +1   -1
     
    .
    Avatar

    I see better from a distance 🎯

    Group
    Servant
    Posts
    86,508
    Reputation
    +29
    Location
    Narnia

    Status
    Anonymous
    John Cýrus Daníelsson
    Master
    Scheda: xxx
    Classe: Mago
    Età: 27
    Professione: Archeologo
    Servant: //
    Abilità magica: Pirocinesi
    Umore: Irrequieto
    Non una parola, non una, gli fuoriesce dalle labbra, lo sguardo rivolto alla miriade di bicchieri che aveva appena portato vuoti al bancone, mille e più pensieri andavano ad affollargli la mente, ingestibili, forse anche troppo per i propri gusti. Che avesse certamente voluto esser altrove, era ovvio, se non addirittura evidente, eppure non poteva, non poteva finché non avesse finito. Per pagarsi gli studi, era il minimo che potesse fare. La stanchezza si faceva sentire, non vi era dubbio alcuno, eppure nonostante questo, le forze per tirare avanti, le riusciva a trovare, nonostante tutto, nonostante arrancasse un passo dopo l’altro, nel locale quasi deserto, a quell’ora a raccogliere ciò che non era riuscito a portare in precedenza. Neppure aveva idea di che ora fosse sinceramente, e neppure gli interessava saperlo, sapeva solo che non vedeva l’ora di uscire da lì. Fino a qualche istante prima, non aveva neppure avuto tempo di respirare, talmente era pieno, ed ora, il vuoto totale, salvo forse qualche cliente che si era intrattenuto un po' più a lungo rispetto al solito. Che avesse rischiato non poche volte, l’osso del collo, non vi era dubbio alcuno, e chissà per quale Miracolo della Divina Provvidenza, tutte le volte era stato graziato. Avrebbe dato qualsiasi cosa, qualsiasi, pur di non avere più problemi con l’equilibrio, inutile nascondere che rammentava con un certo odio, tutte le volte in cui, a scuola durante le ore di ginnastica aveva causato danni al prossimo, oltre che a sé stesso. Che dire, imbarazzante, se non addirittura di più. Ma poco gl’importava della vera e propria causa, l’effetto a differenza della medesima, gli importava, gli importava eccome. L’essere altro e magro come un chiodo, per quanto potesse per certi versi essere un bene, a volte non lo era affatto, perché anziché esser più coordinato nei movimenti, era scoordinato ancor più del dovuto, tanto da sembrare una giraffa ubriaca, e se cadeva male, erano corse al pronto soccorso garantite per mettergli il gesso. Insomma, tutte cose positive. Giusto per non fargli mancare niente. Quella sera, l’aveva scampata per il rotto della cuffia, più di una volta, e che fosse stato graziato, era solo e soltanto un bene, eppure alla prospettiva di come potevano andargli le cose, si ritiene decisamente fortunato, anche se di solito la fortuna, gli girava al largo, ma la sfiga ci vedeva benissimo.
    Portati gli ultimi bicchieri vuoti, sul ripiano del bancone, s’accinge ad andare dietro al medesimo, per poter lavare quei bicchieri, nel lavello, il tutto in religioso silenzio, tanto che l’unico rumore che udiva, era la musica in sottofondo, oltre che il rumore dei propri pensieri, pensieri che nel mentre si erano fatti sempre più pressanti, tanto da dargli fastidio, talmente fastidio che se gli fosse stato possibile, si sarebbe certamente messo ad urlare, poco ma sicuro; ma non poteva, non poteva se non voleva fare figure poco carine con i clienti che ancora erano lì, seduti ai tavoli, tra quelle quattro mura del locale. Avrebbe dato qualsiasi cosa, per non sentire i loro sguardi perforargli la schiena, quasi lo stessero giudicando e ciò, inutile nasconderlo, lo urtava e non poco, tant’è che avrebbe tanto desiderato poter sprofondare e sparire.
    I tried all the games that they play
    But they made me insane
    code © skyfäll
     
    Top
    .
  2.     +1   +1   -1
     
    .
    Avatar

    Senior Member

    Group
    Servant
    Posts
    17,509
    Reputation
    +17
    Location
    Hell, don't you know?

    Status
    Offline
    Ethel Ingrid Larsson
    Master
    Scheda: xxx
    Classe: Strega
    Età: 23
    Professione: segretaria
    Servant: ///
    Abilità magica: criocinesi
    Umore: stanca
    Le giornate infinite esistevano eccome. Quella era una di quelle. L’avvocato, presso il quale avevo trovato lavoro come segretaria, quella mattinata era riuscito a starsene in aula tutto il tempo che io ero dovuta rimanere in ufficio a mettere a posto scartoffie burocratiche, rispondere al telefono e, soprattutto, organizzargli l’agenda. Quell’uomo aveva una compulsione quasi ossessiva per l’incanalare la rabbia in aula e, spesso e volentieri, avevo adorato quel tratto distintivo del suo carattere, ma non quel giorno. Verso le quattordici, quel primo pomeriggio, lui era rientrato in ufficio con il cellulare premuto contro l’orecchio sinistro. Urlava come non mai, imprecava e non si lasciava andare a nessuna benevolenza. Gettò letteralmente la giacca sulla mia scrivania, antistante al suo ufficio, chiuse, violentemente, la porta del suo ufficio, una volta entrato, e continuò ad urlare con quel cliente malcapitato oggetto della sua ira funesta. Solamente dopo scoprii che il soggetto al telefono era il cliente relativo all’ultima udienza di quella mattina, colui che, con i pochi risparmi che gli erano rimasti, aveva chiesto a quel dannatissimo uomo pomposo del mio datore di lavoro di aiutarlo ad ottenere la custodia dei suoi figli, dimostrando che la madre era tutto fumo e niente arrosto. Peccato che, a giudicare da quanto sesse urlando l’avvocato al telefono, la signora oggetto del contendere avesse schierato, dalla sua parte, l’ex moglie del mio datore di lavoro.
    Ugla, la centralinista dello studio di avvocati nel quale prestavamo servizio, portò gli occhi al cielo mentre io appendevo, con garbo, la giacca dell’avvocato all’appendiabiti di fronte alla mia scrivania. Avrei riposto il soprabito nell’armadio del signor Karlsen appena avesse chiuso la chiamata e si fosse palesato in corridoio. Se c’era una cosa che, negli anni, avevo imparato era di non entrare mai quando quell’uomo era al telefono, se non si voleva rischiare la vita. Avevo commesso solamente una volta quell’errore in passato e, lo giuro, avevo rischiato di vincere una pinzatrice tra capo e collo. Non sto scherzando.
    L’uomo chiuse la chiamata poco dopo, mentre io prendevo, tra le braccia, l’agenda cartacea con i vari appuntamenti e le varie note ad essi annesse, le cartelle relative ai casi inerenti ai clienti che sarebbero sopraggiunti da lì a poco ed il soprabito dell’avvocato. Quest’ultimo urlò il mio nome ed io, con un sorriso di circostanza stampato in volto, andai verso la porta dello studio, bussai ed entrai dopo che l’uomo ebbe detto un “avanti” biascicato. Sicuramente aveva tra le labbra una sigaretta.
    « Signor Karlsen, la Sua giacca. » - cominciai mentre mi appropinquavo all’armadio a lato della sua ampia scrivania ricolma di cartelle e di scartoffie con sopra la sua scrittura pressoché illeggibile - « Ha chiamato il Signor Hansen, l’appuntamento delle quattordici e trenta, ha detto che ha avuto un problema al motore della macchina, ma sarà qui con un quarto d’ora di ritardo. Si scusa. » - l’avvocato diede un sonoro tiro alla sigaretta mentre borbottava qualcosa - « Le ho portato le cartelle dei clienti di oggi e Le ho indicato quali sono più problematici, come richiesto. » - appoggiai le cartelle, con garbo dinanzi all’uomo, accanto al suo fidato portatile, sull’ampia scrivania di legno pregiato - « Le ricordo, infine, che alle diciannove Sua figlia l’attende al palazzetto di ghiaccio per i quarti di finale di pattinaggio artistico. » - una piccola occhiata all’uomo che, non più interessato alle cartelle, stava guardando un punto indefinito oltre la mia figura, manco fossi stata trasparente - « Tanja ci tiene molto che Lei sia presente. Oggi ha chiamato ben tre volte in preda al panico. »
    L’avvocato fece un cenno si assenso con la testa, lasciando che la sigaretta, tra le sue labbra, ballasse appena. Della cenere cadde a terra e lui corse, quasi in un moto non totalmente razionale, quanto istintivo, primordiale, a pestarla con un piede. Chiusi l’agenda cartacea che avevo in mano e porsi, sempre col mio sorriso cordiale, quanto di circostanza, dipinto sul volto, il posacenere di cristallo all’uomo oltre la scrivania.
    « Un’ultima cosa: ha chiamato la Signora Nilsen. Chiedeva di essere richiamata da Lei circa la Vostra cena di domani sera al Caesar. » - Karlsen alzò lo sguardo verso di me, quasi tornato in sé da quel momento di trance, ed emise una nuvola di fumo per poi sprofondare nella sua ampia poltrona, oltre la scrivania - « Torno qui fuori. Non esiti a chiamarmi, se mi necessita. »
    Conclusi dopo aver lasciato un post-it, con su scritto quanto detto dalla Signora Nilsen, sulle cartelle che avevo consegnato all’avvocato poco prima. L’uomo mormorò un “grazie” e prese il cellulare in mano mentre io uscivo dalla stanza. Chiusi la porta alle mie spalle e notai Ugla che si voltava verso di me e mimava, col labiale, un “tutto okay col demonio?”. Sorrisi ed abortii, sul nascere, la risata che crebbe in me, a quella visione. Annuii appena e guardai il cellulare. Avevo ancora delle ore di agonia prima di fare una sorpresa a John, al pub.

    […]

    Il pomeriggio volò via come se nulla fosse, manco a farlo apposta e, verso le diciannove e trenta circa spensi il computer, infilai la giacca, sopra al maglione ed alla camicetta bianca candida, arrotolai la sciarpa intorno al collo e salutai Ugla. Camminai sino al pub ove John lavorava. Oramai l’orario di chiusura incombeva, dato il giorno feriale. Mi guardai intorno, all’interno del locale, alla ricerca di quel ragazzo che, con le dovute maniere, aveva stregato il mio cuore, come si suol dire. Non eravamo d’accordo di vederci, quella sera, quindi potevo giocarmi il fattore sorpresa. Allentai appena la sciarpa, intorno al mio collo, e mi avvicinai alle spalle dell’uomo fin troppo alto, rispetto alla mia esile figura. Le sue spalle erano decisamente ampie e, ogni volta, non sapevo come non sembrare una nanerottola al suo confronto.
    Mi decisi, quindi, a portare una manina, una volta liberta dal guanto che la copriva, a toccare, un paio di volte, con l’indice, una spalla dell’uomo che amavo.
    « Ehm… Mi scusi, starei cercando il Signor Daníelsson. Sa, per caso, dove posso trovarlo? »
    Quel gioco delle parti, spesso e volentieri, era come una sorta di marchio di fabbrica della sottoscritta. Non mi dispiaceva affatto non abbandonare quella facciata simil seria pure con il mio ragazzo. Lui sapevo quanto approvasse ciò, ma era qualcosa di nostro, qualcosa che, volente o nolente, col passare degli anni avevamo riscontrato come una costante, almeno tra le mura lavorative. Non volevo, di certo, mettere nei guai col suo datore di lavoro il “gigante buono” che amavo. Non me lo sarei mai perdonato. Proprio per quel motivo, da fin troppo tempo, mi giocavo la carta del “ha visto il Suo collega”, pur di attirare l’attenzione dell’uomo che amavo.
    Un sorriso solare, quanto apparentemente ingenuo, andò a delinearsi sul mio volto mentre aspettavo che l’uomo si voltasse e che palesasse i suoi connotati alle mie iridi. Giuro che, dopo quella giornata intensa, al lavoro, necessitavo un abbraccio, ma non mi profusi in esso. Avrei atteso pazientemente. Non ero una bambina. Potevo farcela eccome.
    Stabat mater dolorosa juxta crucem lacrimosa.
    code © skyfäll


    Edited by -chaos - 23/2/2021, 02:02
     
    Top
    .
  3.     +1   +1   -1
     
    .
    Avatar

    I see better from a distance 🎯

    Group
    Servant
    Posts
    86,508
    Reputation
    +29
    Location
    Narnia

    Status
    Anonymous
    John Cýrus Daníelsson
    Master
    Scheda: xxx
    Classe: Mago
    Età: 27
    Professione: Archeologo
    Servant: //
    Abilità magica: Pirocinesi
    Umore: Irrequieto
    Riuscire a gestire tutta quella mole di pensieri, gli riusciva difficile, se non addirittura di più, senza contare che avvertiva pressione dei medesimi farsi sempre più accentuata. Inutile nascondere che, per cercare di tenere un profilo basso, e non dare di matto, si concentra sui bicchieri, oltre che sulla musica in sottofondo, lo sguardo basso, su questi ultimi, pulendoli ossessivamente con uno strofinaccio, dopo averli lavati. Il vociare dei pochi clienti gli giungeva alle orecchie, al pari d’un brusio fastidioso, ma più cercava d’ignorarli, più le loro parole gli creavano disagio e fastidio al contempo. Malgrado la stanchezza si facesse sentire, non poteva nascondere quanto ciò che udiva gli creasse un certo nervosismo, facendogli peggiorare di conseguenza l’umore, facendolo sentire così, più irrequieto di quel che si sentiva a conti fatti essere. Un po' di pace, era forse chiedere troppo, da quella giornata tutt’altro che facile? Probabilmente a conti fatti sì, a ben vedere, anche se per i propri standard poteva anche andare peggio di così, o forse in meglio, dipendeva molto da come essa iniziava, in sostanza. Bello, vero? Avrebbe tanto voluto poterci scrivere un libro: ‘Come complicarsi la vita, già dal mattino’ a cura di John Cýrus Daníelsson. Ma no, non era mai stato nelle proprie corde, la scrittura; essa andava ben oltre le proprie capacità, non essendo mai stato portato per la medesima, seppur leggesse moltissimo, tanto da apparire ad un occhio esterno, null’altro che un topo di biblioteca, bensì, preferiva dedicarsi ad altro, all’archeologia, ambito che lo appassionava certamente di più rispetto alla scrittura in quanto tale. Udire poi, quella voce, quella voce che avrebbe riconosciuto ovunque, gli sfugge un sorriso, sorriso che va ampliandosi sempre più, non riuscendo a trattenersi dal ridacchiare lieve, divertito. «Al momento è occupato altrove, lo manderò a chiamare…» pronuncia tali parole cercando di non ridere, senza esito alcuno, reggendo quello scherzo, non riuscendo a smettere di ridacchiare, seppur ci stesse sul serio provando in ogni modo possibile ed immaginabile, sistemando i bicchieri lavati ed asciugati nell’apposito ripiano dedicato a loro, prima d’osar voltarsi, un ampio sorriso in volto, e inutile nasconderlo, un po' sorpreso, di notare Ethel lì, dinnanzi la propria persona, oltre il bancone. «Ingrid, a cosa devo questa visita? Sono sorpreso…» gli esce di bocca, il capo reclinato di lato, sperando che dalla propria voce non trapelasse tutta la stanchezza che si sentiva addosso, eppure non poteva negare che quella visita del tutto inaspettata, gli facesse sinceramente piacere, senza contare che tutte le proprie preoccupazioni e tutte le proprie ansie, in quell’esatto istante, parevano essersi letteralmente volatilizzate, sparite nel nulla, tanto che si sente decisamente più tranquillo, rispetto a poco prima, seppur ammetterlo gli costi parecchio, molto di più di quanto le sole parole possano effettivamente esprimere appieno.
    I tried all the games that they play
    But they made me insane
    code © skyfäll
     
    Top
    .
  4.     +1   +1   -1
     
    .
    Avatar

    Senior Member

    Group
    Servant
    Posts
    17,509
    Reputation
    +17
    Location
    Hell, don't you know?

    Status
    Offline
    Ethel Ingrid Larsson
    Master
    Scheda: xxx
    Classe: Strega
    Età: 23
    Professione: segretaria
    Servant: ///
    Abilità magica: criocinesi
    Umore: stanca
    Mai avrei voluto trovarmi in un altro luogo, in quel momento. Tra le mura di quel pub, da qualche anno, mi sentivo a casa, tranquilla, coccolata dal lieve tepore che vi era all’interno di quelle mura, a prescindere che io prendessi posto al bancone o ad un tavolo, con i miei fidati libri, della facoltà universitaria, al seguito. Laurearmi non era stato difficile, ma manco facile. Il mio cognome, a quanto pareva, era una condanna, ma non mi interessava minimamente. Io ero pienamente cosciente che mio padre era innocente e non meritava quelle calunnie che gli addossavano, da anni. Lui non aveva toccato, se non manco sfiorato, nessuno di quegli studenti che, pur di ottenere voti alti in maniera semplice, si erano schierati da una parte di una causa che li avrebbe dipinti solamente come vittime di atti carnali non accondiscendenti.
    Mia madre era stata una fautrice, insieme ad altri esponenti illustri della società svedese, di quel movimento contro poveri insegnanti universitari innocenti. Io ero solamente risultata una sorta di “anomalia” e, per permettermi di laurearmi con i voti che meritavo, avevo dovuto trasferirmi dagli zii, in Islanda. Non rimpiangevo quel trasferimento, anzi, eppure, alle volte, quando ero sola, in camera mia, mi sentivo in colpa per mio padre, per averlo abbandonato mentre si trovava proprio nel cosiddetto “occhio del ciclone”. Mi sentivo egoista, in quei momenti, e non ero tale, per niente. Di me si potevano dire molte cose, ossia che avevo un carattere difficile, che potevo apparire snob, che ero chiusa e che parlavo appena, se non reputavo necessaria la mia partecipazione ad una conversazione, ma mai si sarebbe potuto asserire che ero una persona egoista. Lavoravo dietro le quinte, certo, ma non mi tiravo mai indietro se, qualcuno vicino a me, se non un mio caro, aveva bisogno di aiuto.
    Quella sera, comunque, non volevo mettere a disagio il ragazzo dietro al bancone. speravo solamente che, con calma, avessimo potuto passare del tempo insieme, dopo la chiusura del locale, magari avremmo potuto pure fare un tragitto di strada insieme, nel rincasare presso le nostre rispettive abitazioni. Ancora non avevamo pensato di trovare un posto nostro e, detta in maniera molto franca, quella prospettiva mi metteva ansia. L’idea di dover abbandonare, per la seconda volta, una casa che mi aveva accolta con estremo amore e che non mi aveva fatta sentire fuori luogo, era un passo più lungo della mia gamba. Mi fidavo di John, ciecamente, ma non credevo possibile quella sorta di convivenza. Non così presto, almeno. Ci conoscevamo da anni, era vero, ma mai avrei pensato di poter forzare così tanto la mano, con lui. Non meritava una cosa del genere, seppur, sotto sotto, avrei potuto adorare il fatto del rincasare e trovarlo o ai fornelli, o sul divano, intento a leggere un libro.
    Un lieve sorriso solcò le mie labbra alle prime parole di lui mentre, con garbo, prendevo posto su di uno sgabello, nei pressi del bancone. Non vi era nessun avventore del locale presso quegli sgabelli, quindi mi sentii relativamente libera di poter portare avanti quel piccolo gioco formato da frasi e sguardi complici.
    « Oh, bene, ottimo. » - sfilai la sciarpa dal collo, la piegai e la portai sul mio grembo, dopo aver accavallato, con grazia, le gambe - « Lo aspetterò qui. »
    Un piccolo sorriso sulle labbra mentre lo sguardo tornava a posarsi sul profilo del ragazzo dietro al bancone, intento a riporre al loro posto i bicchieri accuratamente lavati poco prima. Sapevo quanto il mio ragazzo fosse dedito al lavoro, proprio per quello cercavo di ridurre, al minimo, quelle sorprese al pub, per non distrarlo o peggio, ma, quella sera, ero davvero stremata e necessitavo la sua presenza per poter tornare nella media. Non ero mai stata una persona che pretendeva troppo, dalla vita. Ero una di quelle creature che, sotto la corazza da soggetto chiuso ed introverso, si crogiolava in piccole attenzioni che solamente il bel castano, oltre al bancone, sapeva darle. Magari era pretenzioso, come pensiero, ma, ben pensandoci, era semplice da intuire che cosa io ricercassi: un bacio, un abbraccio e qualche minuto insieme, anche in silenzio.
    Non pretendevo la luna, visto? Sempre e comunque sarei rimasta una persona semplice, come l’uomo che amavo, a prescindere dal fatto che, guardandomi dall’esterno, potessi apparire come una sofisticata ragazza che puntava sempre e comunque ad abiti alla moda ed alla borsa dalla griffe sobria.
    « Passavo di qui per caso e non volevo lasciare quel bel faccino che ti ritrovi senza il suo sorriso. » - un sorrisetto complice prese piede sul mio volto dall’incarnato decisamente chiaro - « Non potevo farti questa piccola sorpresa? »
    Sempre e comunque avevo reputato il mio secondo nome una sorta di affronto alla mia persona, poi John l’aveva scoperto e, alle volte, aveva iniziato ad utilizzarlo, con mio grande dubbio. Lui sapeva quanto io lo odiassi, eppure, col passare del tempo, cominciai ad apprezzarlo, con quella pronuncia chiusa che quel bel castano aveva. Era una cosa mia mentale, ne ero pienamente consapevole, ma chi, quando è innamorato, non si lascia mai andare a qualche pensiero frivolo come quello?
    Avrei, comunque, voluto chiedergli come mai avesse utilizzato il mio secondo nome, ma non osai proferire parola, in merito. Non volevo mandare in frantumi quel piccolo momento di idillio che eravamo riusciti a ritagliarci, in quel momento, tra quelle mura che, se avessero potuto parlare, avrebbero potuto raccontare fin troppe storie astruse di clienti sobri o meno.
    Stabat mater dolorosa juxta crucem lacrimosa.
    code © skyfäll


    Edited by -chaos - 23/2/2021, 02:02
     
    Top
    .
  5.     +1   +1   -1
     
    .
    Avatar

    I see better from a distance 🎯

    Group
    Servant
    Posts
    86,508
    Reputation
    +29
    Location
    Narnia

    Status
    Anonymous
    John Cýrus Daníelsson
    Master
    Scheda: xxx
    Classe: Mago
    Età: 27
    Professione: Archeologo
    Servant: //
    Abilità magica: Pirocinesi
    Umore: Irrequieto
    Non una parola, non una, gli fuoriesce dalle labbra, il capo reclinato di lato, non riuscendo a trattenersi dal ridacchiare lieve alle di lei parole, per quel gioco di ruoli che stavano facendo. Che apprezzasse tutto ciò, era ovvio quanto palese, in quanto in tal modo, riusciva ad avvertire in maniera minore il peso di tutte quelle emozioni negative che gli gravavano sulle spalle, oltre all’inquietudine ed alle preoccupazioni che si portava dentro, dovute principalmente a quanto fosse stata dura quella giornata, senza contare che ciò gli impediva di pensare, esattamente come voleva. Avrebbe dato qualsiasi cosa, qualsiasi, affinché tale sensazione durasse il più a lungo possibile, in quanto era davvero, ma davvero messo male, seppur in quell’istante si sentisse decisamente più tranquillo, in quanto quella sorta di gioco tra loro, funzionava benissimo, oltre che grazie alla di lei presenza tra quelle quattro mura del locale. A suddette parole, poco prima udite, annuisce impercettibilmente, ridacchiando nuovamente con fare divertito, prima d’osar infine proferir parola. «Va bene… Vedrai che arriverà.» mormora piano, lo sguardo rivolto all’altra, sorridendole ampiamente. Apprezzava sinceramente quella visita del tutto inaspettata quanto gradita. Era consapevole che simili sorprese erano rare, come cercare di trovare l’ago in un pagliaio, eppure nonostante tutto, le apprezzava come se esse fossero una ventata d’aria fresca, in un giorno assolato e privo di vento. Asciugatosi quindi le mani con uno strofinaccio, ascolta con attenzione quanto gli viene detto, il sorriso che tiene in volto, va ad ampliarsi ancor più del dovuto, conscio che probabilmente così facendo non avrebbe avuto altro che una paralisi facciale. «Grazie, grazie davvero io… Non so davvero cosa dire…» gli esce di bocca, non vi erano parole sufficienti, per esprimere quanto apprezzasse tutto ciò, senza contare che tal gesto gli aveva migliorato in modo indicibile quella giornata, senza sé e senza ma. «Hai fatto più che bene, sul serio, hai la mia parola…» null’altro aggiunge, affrettandosi quindi a raggiungerla oltre il bancone, sino a dov’ella aveva preso posto, abbracciandola come se non la vedesse da giorni, anziché solo da tutto il giorno, accarezzandole successivamente il volto. Che avesse sentito la di lei mancanza, più di qualsiasi altra cosa, era evidente quanto palese, tant’è che fatica a distogliere lo sguardo da lei, ignorando di bella posta tutto il resto, non proferendo parola alcuna per qualche minuto buono, o forse anche di più, non smettendo di accarezzarle il volto. Un gesto semplice, che se al posto della ragazza ci fosse stato qualcun altro, non sarebbe riuscito a compiere con la medesima facilità con cui, riusciva in quell’esatto istante con lei. «Come stai?» azzarda a chiedere, rompendo quella sorta di silenzio, che s’era venuto a creare, lo sguardo incatenato a quello d’ella, le preoccupazioni e tutto il resto, celate e nascoste in un angolino remoto della propria mente, in quanto in quel momento esse null’altro erano che un mero intralcio, se non addirittura di più. Per quanto consapevole che vi potessero essere dei clienti in quel momento, seduti sparsi a qualche tavolo, e per quanto fosse ligio al dovere, per una singola volta, li avrebbe ignorati, non per cattiveria, né altro, solo… Una piccola pausa dal lavoro, non gli avrebbe certo fatto male. O no? Anche se poi, probabilmente se le sarebbe sentite, per questo, se ne sarebbe preoccupato a tempo debito.
    I tried all the games that they play
    But they made me insane
    code © skyfäll
     
    Top
    .
  6.     +1   +1   -1
     
    .
    Avatar

    Senior Member

    Group
    Servant
    Posts
    17,509
    Reputation
    +17
    Location
    Hell, don't you know?

    Status
    Offline
    Ethel Ingrid Larsson
    Master
    Scheda: xxx
    Classe: Strega
    Età: 23
    Professione: segretaria
    Servant: ///
    Abilità magica: criocinesi
    Umore: stanca
    Uno sguardo complice ed un sorrisetto di conseguenza.
    Magari non dovevo distrarre così tanto il bellissimo ragazzo dietro al bancone, ma, in quella giornata frenetica e ricolma di improperi, pronunciati contro terzi dal mio datore di lavoro, necessitavo un attimo di pace, di idillio personale. Era egoista, come pensiero, ne ero pienamente consapevole, ma non mi sarei tirata indietro dal palesare tale desiderio a colui che, tacitamente, mi aveva stregato il cuore. Non aveva dovuto avvalersi di formule magiche, cerchi alchemici o chissà che altro. Gli era bastato essere il topo di biblioteca che era. Entrambi amavamo leggere e, molto probabilmente, se anni prima non mi fossi ritrovata ad incrociarlo, in quell’ateneo immenso, magari non ci saremmo manco conosciuti. Il solo pensiero mi fece percorrere la schiena da un lieve brivido. Non sarei riuscita a sopravvivere, senza di lui, in quell’isola ove il gelo e la neve la facevano, quasi per l’intero anno, da padroni. Mi sarei aggrappata, come una naufraga in mare aperto, ai miei zii, le mie due boe in mezzo alle impervie acque della vita, certo, ma non sarebbe stata la stessa cosa. per niente.
    Sistemai appena la sciarpa sulle gambe accavallate, presso il bancone, rimanendo seduta sullo sgabello. Lo sguardo che andava dal ragazzo, dai capelli color del legno, ai pochi clienti ancora presenti nel locale. L’orario di chiusura incombeva, oramai, ma loro, quasi stoici, non abbandonavano le loro sedie od i loro sgabelli, presso i quali avevano trovato ristoro. Le loro bevande dinanzi, sul tavolo o sul bancone, se non in mano. A volte mi divertivo, mentalmente, a provare ad immaginare cosa stessero pensando gli avventori del locale nel quale John lavorava, eppure, quella sera, ero troppo stanca anche solo per ponderare qualcosa di semplice come l’ipotizzare il lavoro del signore seduto presso un tavolo, in fondo alla sala, partendo dalla sola base visibile: i suoi vestiti. I volti ingannavano eccome ed io, da scrittrice e da segretaria di un avvocato fin troppo cinico e caparbio, lo sapevo fin troppo bene. John, a differenza loro, era la calma più totale, per quanto mi riguardava. Bastava che le mie iridi si posassero in quelle verdi di lui e la mia mente scacciava ansie e paure varie, a prescindere che esse fossero legate allo studio, al lavoro o a qualunque altro ambito. Il bel barista, dietro al bancone, aveva quell’innato potere, sulla sottoscritta.
    « Non devi dire nulla. »
    Proferii solamente mentre lui lasciava che un sorriso, dettato dal cuore, gli rischiarasse, finalmente, il volto. Un lieve sorriso si dipinse sul mio volto ed io lo osservai mentre terminava di svolgere le sue funzioni dietro al bancone e si apprestava a raggiungermi.
    Dovetti far appello a tutto il mio autocontrollo per non baciarlo lì, nel locale, sotto agli occhi, per nulla vigili, dei clienti ancora presenti. Dovevo lasciare che lui fosse professionale, tra quelle mura, come lo ero io presso lo studio di avvocati nel quale svolgevo la funzione di segretaria di uno di loro. John non poteva permettersi di perdere il lavoro a causa mia. Non me lo sarei mai perdonata.
    « Ti credo. » - un altro piccolo sorriso rivolto al ragazzo fin troppo alto, rispetto alla mia esile figura - « Una piccola sorpresa non guasta mai. »
    Quelle ultime parole mi uscirono quasi senza che io avessi il tempo di ponderarle a dovere. Le pronunciava sempre mia zia. Da quando mi ero trasferita in Islanda, lei continuava a ripetermi che io non dovevo fare altro che permettere al mio destino di farmi trovare quelle piccole sorprese che lui aveva disseminato, lungo il mio cammino. Lei era decisamente meno razionale di mio zio e di me, ma, al contempo, la adoravo. Era strano come pensiero, ne ero pienamente cosciente, ma come si fa a non adorare una donna che, non potendo avere figli biologici, lascia che sua nipote sopperisca a quel vuoto?
    Ero persa in quei miei pensieri e non mi accorsi minimamente che, da dietro il bancone, John mi aveva raggiunta. Lo vidi seduto su di uno sgabello, accanto a me, prima di lasciare che mi abbracciasse, mi stringesse a se, infischiandosene del fatto che la mia ampia sciarpa, che avevo in grembo, fino a pochi istanti prima, fosse capitolata a terra, coprendo, parzialmente, la borsa a tracolla che conteneva il mio fidato portatile.
    Posai il capo contro al suo ampio petto e strinsi la stoffa del maglione che lui aveva addosso. Le mie mani sulla sua schiena fin troppo vasta, rispetto alla mia persona decisamente più minuta. Inspirai, lentamente, il profumo di lui, lasciando che il mio naso sfregasse appena sulle fibre intrecciate del suo maglione. Ci eravamo visti giusto la sera precedente, ma era come se fossimo stati separati per giorni. Magari non era sano quel nostro comportamento, ma non riuscivo a fare altrimenti. Tra quelle braccia mi sentivo a casa, protetta, nell’unico posto idoneo alla mia persona, nel mondo, dopo lo scandalo di Lund.
    Lui sciolse l’abbraccio e mi accarezzò il volto. Amavo quando lo faceva. Erano quelle piccole attenzioni che mi avevano fatto innamorare, tra le altre cose, di lui. Era una persona attenta ai particolari a ciò che lo circondava, che dava anima e corpo alle persone che amava. Tutto ciò era stranissimo, per quanto mi riguardava, ma, conoscendo quella figura perennemente allegra, avevo imparato che quel calore, nel petto, all’altezza del cuore, altri non era che amore.
    « Benissimo, ora. » - un flebile sussurro, sicura che lui avrebbe potuto udirlo con facilità data la distanza ravvicinata che vi era tra noi - « Grazie. » - una mia manina andò a cercare quella di lui che ancora mi teneva stretta alla sua persona. Mai avrei distolto l’attenzione di lui, portandolo a far scivolare via, dal mio volto, quel suo arto - « Tu, invece? » - il mio sguardo che, prima di ritrovare il suo, indugiò, forse per qualche istante di troppo, sulle sue labbra - « Dovresti lasciarmi andare, comunque. Rischi che il tuo capo te ne dica quattro. »
    Un piccolo sorrisetto complice, sul volto, mentre le mie iridi non lasciavano le sue e la mano, libra dalla sua, che continuava a stringere le fibre del maglione di lui, manco John fosse la mia bombola d’ossigeno personale. Necessitavo quel contatto come l’aria, ma non sapevo proprio spiegarmelo, in maniera razionale. Di lui mi fidavo, ma non volevo che passasse dei brutti quarti d’ora per farmi stare bene, per fare di tutto per sentire il cuore correre, divertirsi a dovere, per via di un sentimento così forte che poeti, filosofi, scrittori e registi di erano persi in esso.
    Dal canto mio stavo lanciando messaggi contraddittori a quel ragazzo più grande di me di due anni, ma non mi interessava. Non essere la ragazza razionale e posata, quando ero con lui, era quasi una sorta di evasione da una vita che, prima del trasferimento, mi aveva praticamente privata di tutto.
    Stabat mater dolorosa juxta crucem lacrimosa.
    code © skyfäll
     
    Top
    .
  7.     +1   +1   -1
     
    .
    Avatar

    I see better from a distance 🎯

    Group
    Servant
    Posts
    86,508
    Reputation
    +29
    Location
    Narnia

    Status
    Anonymous
    John Cýrus Daníelsson
    Master
    Scheda: xxx
    Classe: Mago
    Età: 27
    Professione: Archeologo
    Servant: //
    Abilità magica: Pirocinesi
    Umore: Irrequieto
    Avrebbe dato qualsiasi cosa, ma proprio qualsiasi cosa, pur di sentirsi felice, in quel mare di caos che si portava appresso, senza contare che il lavoro, lo assorbiva come se non ci fosse un domani, eppure non poteva nascondere in alcun modo, quanto tenesse ad Ethel e quanto ne apprezzasse la presenza. Se avesse potuto, non avrebbe esitato dal passare ogni singolo minuto ed istante del proprio tempo libero con lei, e diciamocelo chiaro e tondo, non aveva tutto questo tempo libero, tra il lavoro e lo studio. «Scusami, lo so…» mormora piano, lo sguardo basso, non riuscendo appieno a celare l’imbarazzo che provava in quel preciso istante e momento. Che apprezzasse le sorprese, era dire poco, molto ma molto poco, tant’è che le sole e mere parole, non erano sufficienti, per esprimere quanto effettivamente le apprezzasse. Serviva forse dire che in quel momento specifico, si sentisse talmente felice, come se fosse sul punto d’esplodere? Assolutamente no, in quanto la propria felicità, era evidente ed allo stesso tempo palese, come se fosse tangibile in un certo senso. Il cuore pareva esser sul punto di scoppiare, talmente forte gli batteva contro il costato; avrebbe tanto voluto, ch’esso rallentasse quella folle corsa, nel modo più assoluto, eppure sapeva di non poterlo fermare, in quanto non voleva in alcun modo metter un freno a quella felicità che lo pervadeva come se non ci fosse un domani. Non una parola, non una, gli fuoriesce dalle labbra, lo sguardo rivolto all’altra, incapace di distogliere lo sguardo dal di lei volto, quasi non esistesse altro nel proprio campo visivo, in quel preciso istante. Avrebbe tanto voluto poter dire qualcosa, qualsiasi cosa, eppure la voce pareva non esser in grado di trovare la strada per uscire, non a caso infatti era diventato rosso al pari d’un peperone in viso. Che si sentisse integro, con lei tra le braccia, era dire poco, molto ma molto poco, eppure nessuna parola, nessuna, era in grado d’eguagliare quel misto d’emozioni che lo pervadevano come se non ci fosse un domani. «Mi fa piacere….» mormora piano, il capo reclinato di lato, tenendosela appresso, il cuore non accennava in alcun modo a rallentare, lo sguardo basso, ancora rosso in viso. «Io sto bene, molto più che bene…» si affretta ad aggiungere, rispondendo alla di lei domanda, un ampio sorriso a solcargli il volto, null’altro che una mera eco della felicità che provava in quel preciso istante e momento, tanto da dimenticare ove si trovavano. Quanto sente inseguito, lo fa ritrovane con i piedi per terra, non riuscendo in alcun modo a celare del tutto la propria sorpresa. «Dovrei?» azzarda a chiedere, ironico, ridacchiando lieve, non riuscendo in alcun modo a trattenersi. Sapeva che rischiava grosso, eppure… Avrebbe tanto voluto restare lì con lei per qualche altro minuto.
    I tried all the games that they play
    But they made me insane
    code © skyfäll
     
    Top
    .
6 replies since 25/10/2020, 20:45   226 views
  Share  
.
Top