The rhythm of the falls, the number of deads, the rising of the horns, ahead

Evento n°1 - Calcifer e ???

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    1° evento
    Tramonta il sole su una giornata soleggiata e non troppo fredda per le terre d'Islanda, nonostante sia inverno. Reykjavík, cuore nevralgico della Guerra per il Sacro Graal è insolitamente silenziosa, segno forse della quiete prima della tempesta. Anche la popolazione civile sembra essersi rintanata all'interno delle abitazioni, complice forse il vento gelido che si è alzato con il favore della notte. Tutto è pronto per la battaglia.

    Ambientazione:
    Grundartangi
    La capitale islandese non è l'unico luogo soggetto ai capricci della coppa magica: tutta l'isola lo è. Per questo nemmeno quella fabbrica che produce alluminio, situata lungo la Route 1, che all'apparenza potrebbe sembrare una località innocua e lontana da qualsivoglia campo di battaglia, questa notte forse sarà teatro di un evento che entrerà nella storia delle Guerre Magiche. I Master sono lontani, ognuno nella rispettiva città: hanno affidato ai loro Servant il compito di scendere in campo per quella che potrebbe essere la prima di una lunga serie di notti insonni. O, più semplicemente, l'ultima, per qualche spirito eroico.
    -7°
    Meteo

    00:10 a.m.
    01.02.2021
    Umidità 70%
    Sereno
    Off GdR
    - Turnazione libera: decidete tra di voi chi inizia.
    - Al momento i Servant si trovano nei pressi di un polo industriale (Grundartangi) situato sulla strada che da Reykjavík porta ad Akureyri: libera scelta su come giustificare la loro presenza lì.
    - Prima dell'inizio della QUEST sono stati estratti a sorte i BONUS/MALUS da assegnare ad ogni pg: per richiedere di scoprire (e quindi utilizzare) il vostro bonus vi basterà fare richiesta sotto Spoiler. !!!Attenzione!!! una volta scoperto il Bonus/Malus sarete costretti ad utilizzarlo.
    - Se desiderate utilizzare altri elementi aleatori in corso di role, potrete chiedere l'estrazione di altri BONUS/MALUS, ma solo dopo aver usato quelli che vi sono stati assegnati dalla sorte.
    - Per qualunque dubbio o perplessità, resto a disposizione!
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    Edited by LuluXI - 22/7/2020, 21:02
     
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    Non avrei mai immaginato che convivere con un Master fosse… così. Talvolta era snervante. No, il più delle volte era snervante, perché Hamlet non approvava la maggior parte delle cose che volevo fare. Dare fuoco a una scuola? No. Far esplodere una fabbrica sotto l’aurora boreale? No. Andare a far fuori qualche concorrente? Ni. Dipendeva. Che nervi! A cosa serviva avere un Master se non gettava benzina sul fuoco? Letteralmente parlando? Il mio Master ed io non avevamo ancora trovato la giusta quadra, ma supponevo fosse perché ancora non avevamo avuto modo di conoscerci a dovere. Forse un po’ la colpa era mia, che dopo Howl con i mortali avevo un po’ di problemi relazionali. Insomma, ripetere all’infinito quanto io fossi un antico demone del fuoco e quanto tutti gli altri mi fossero inferiori di certo non aiutava nell’instaurare una sana relazione. Ma anche il fatto che il mio Master fosse una sorta di zombie, beh, non era certo una cosa normale! Ad ogni modo, meglio uno zombie che non un mago che sicuramente non sarebbe stato all’altezza di Howl e quindi non sarebbe riuscito a conquistarmi. Non che Hamlet ci sia riuscito, ancora. Al momento sembravamo più due creature selvatiche nell’atto di studiarsi e comprendere se si piacciano davvero o meno. Difatti, non sapevo dirlo, se il mio Master mi piaceva o no. Non era male, tutto sommato. Ma non era nemmeno il miglior partito sulla piazza. “O meglio: deve ancora dimostrarmi di essere il miglior partito sulla piazza.” Sì, perché io confidavo nel mio istinto ed ero sicura di aver stipulato il contratto con la persona giusta. Solo che lui doveva ancora capirlo, di essere la persona giusta. Doveva, insomma, imparare a lasciarmi il guinzaglio lungo. Detestavo i suoi no. Il semplice ripensarci mi accendeva. “Ti farò vedere io, stupido Master, di cosa sono capace.” Hamlet mi aveva mandata in missione. Finalmente, oserei dire! Lui se ne era rimasto a casa sua (meglio così, prima che si faccia del male), ma sapevamo entrambi che quella notte si sarebbe macchiata di rosso e non mi aveva trattenuto con sé. Era la mia occasione e non vedevo l’ora di sgranchirmi un po’. Ero stata buona e brava fin troppo a lungo, adesso era ora di liberare il demone che divampava dentro di me.
    Mi ero materializzata a Reykjavík, ma no, lo scontro non sarebbe stato all’interno della capitale islandese. Sarebbe stato troppo bello, in effetti. Il Graal non avrebbe permesso che innocenti civili scoprissero dell’esistenza della Santa Guerra. Oppure non voleva che innocenti civili perdessero la vita? Non lo avevo ancora capito. Non avevo ancora capito da che parte stava il Graal. Forse da tutte e da nessuna in particolare. “Vabbè, non mi importa.” Ne avevo abbastanza di oggetti magici. Vivere e animare il castello di Howl (che di regale aveva solo il nome) mi aveva dato la nausea di artefatti pregni di magia. Quale che fosse la reale ragione dietro le regole del Graal, non mi interessava. Non mi interessava nemmeno seguire le sue regole, nonostante fossi costretta ad accettarne qualcuna per non rischiare di venire tagliata fuori e perdere la possibilità di tornare in vita. Detestavo l’idea di essere morta per un mortale, io, che ero antica quanto l’umanità. Ero venuta al mondo quando il primo uomo aveva compreso il potere del fuoco e da allora ero sempre stata in vita. Avevo assunto diverse forme, ma c’ero sempre stata. E poi, era arrivato lui. “Stupido Howl.”
    Abbandonai Reykjavík muovendomi d’istinto e sempre d’istinto mi ritrovai in un polo industriale. Percepii subito la presenza di un materiale fastidioso. “Alluminio.” Lo odiavo, l’alluminio. Tra tutti i materiali era uno dei più resistenti al fuoco. Era, a tutti gli effetti, incombustibile. Fondeva a 660 gradi Celsius. Una temperatura che naturalmente ero in grado di raggiungere, ma mi sarebbe servita una certa preparazione. La cosa peggiore di un edificio rivestito di alluminio divorato dalle fiamme era che, purtroppo, questo materiale tendeva ad aprirsi, a sbocciare come un maledetto fiore, favorendo la dispersione del calore e rendendo quindi più semplice spegnere l’incendio. Ogni ragione avrebbe suggerito che mi tenessi alla larga dalla fabbrica d’alluminio, e fu proprio per questo che, invece, mi ci avvicinai. In fin dei conti, amavo le sfide. E se avessi dovuto combattere, tanto valeva sfruttare un ambiente che, comunque, conoscevo, nonostante non mi fosse favorevole. Entrai nell’edificio. L’interno della fabbrica era ampio e con pochi, grandi macchinari. Mi avvicinai a un banco con alcuni attrezzi. Li accarezzai con i polpastrelli, poi impugnai il primo. Con un rapido movimento lo scagliai contro una delle finestre in alto, spaccando il vetro. Ripetei l’azione fino a quando non terminai tutti gli attrezzi sul tavolo e non ebbi spaccato la maggior parte delle finestre della sala macchine. “Ossigeno assicurato.” Sarei stata una pazza a voler combattere in un luogo chiuso senza assicurarmi la mia principale fonte di sostentamento. L’allarme? Per mandarlo in corto era stata sufficiente una piccola fiammella appena sotto la scatoletta per l’inserimento del codice di sicurezza. «Seicentosessanta, eh?» commentai tra me e me, mentre un ghigno mi tagliava le labbra. «Non è così impegnativo.» Cominciai ad aumentare la mia temperatura corporea. Le fiamme no, quelle le avrei sprigionate solo quando il primo sfidante fosse venuto da me, attratto dalla mia impronta magica. Per ora mi sarei solo scaldata, mi sarei solo preparata a raggiungere la giusta temperatura nel minor tempo possibile.
    Attivare ora la fortezza sarebbe stato sciocco e inutilmente dispendioso. Non volevo intrappolare subito il mio avversario nel Castello di Howl: volevo prima giocare un po’ con lui. Ero curiosa di scoprire chi avrebbe risposto al mio richiamo. Chi mi sarei trovata davanti? Un Master? Un Servant? Magari proprio il moccioso che avevo incontrato allo zoo. Sarebbe stato un vero piacere rivederlo! Qualcosa dentro di me, però non ne era troppo convinta. La mia strada si sarebbe incrociata di nuovo con quella del lattante, ma non adesso. Mi sedetti sulla scrivania e le mani incandescenti affondarono nel tavolo che sfrigolò. Sottili virgole di fumo si librarono in alto, disperdendosi nell’oscurità mentre mi beavo di quel suono armonioso e i miei polmoni si riempivano del puzzo della plastica bruciata. “Sublime.”
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    E finalmente ce l'ho fatta :shifty: Se qualcosa non va, modifico senza problemi ❤
     
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    Fu la notte a sputarlo fuori dalle sue ombre, avvolto in abiti scuri di un verde melmoso e trasandato. Giacca e pantaloni rattoppati in più punti, tipici di qualunque barbone seduto a bordo strada nelle ricche e affollate città americane. Quelle di cui parlava in continuazione il suo Master, che aveva scelto di tenersi lontano dal cuore pulsante dello scontro, stabilendo la sua base operativa ben lontano dalla Capitale Islandese. Non voleva rischiare, così aveva detto. Un comportamento assurdo, da parte di quel folle che, probabilmente, non aveva tutte le rotelle al posto giusto. Ma a Caster non importava più di tanto: chi era lui per giudicare le rotelle fuori posto se era il primo a non essere certo di averle tutte perfettamente incastrate in testa? Però in ogni caso gli sembrava quantomeno singolare che tale soggetto senza scrupoli, pronto a tutto, volesse trattenersi. A che pro aver aspettato sino a quel momento per versare sangue? Ci aveva ripensato? "Magari è bipolare". Ma aveva comunque deciso di madarlo a farsi un giro per la costa Islandese: gli aveva letteralmente ordinato di percorrerla da cima a fondo, alla ricerca di eventuali covi o nascondigli di altri Master e Servant in modo da tornarsene indietro con qualche informazione utile. Un'operazione noiosa ma nel contempo tranquilla. Sì, insomma, bastava mantenere un profilo basso, giusto? Peccato che lui, muovendosi lungo la riva, stesse fischiettando l'ultima hit dell'estate. E poco importava se l'estate era passata da un pezzo. Insomma, in quel silenzio spettrale avrebbe rischiato di addormentarsi se non avesse avuto quell'accompagnamento musicale, visto che persino con quello aveva iniziato a sbadigliare. Tale condizione però non era destinata a durare. Eccola lì, una bella traccia magica. Non una traccia lieve, blanda, occultata. No, un bellissimo faro nella notte, specialmente per chi, come lui, masticava di magia in quanto Caster. Dunque, era ovvio che non si trattava di qualcuno che stava cercando di nascondersi, quanto piuttosto di qualcuno che, al contrario, cercava l'azione. Così, Caster si immerse in acqua: si sentiva decisamente più a suo agio a muoversi così, nuotando. E fu così che, furtivamente, rimanendo al pelo dell'acqua abbandonò la costa per aventurarsi all'interno dell'insenatura che conduceva verso quella forza magica. E a proposito di fari nella notte: era puzza di fumo quella che si alzava da quella strana fabbrica posta non così distante dall'acqua? "Mancano solo le fiamme" pensò, appostato sotto il pelo dell'acqua alla pari di un coccodrillo. Lì c'era sicuramente un Servant: poteva mettere una "X" rossa sulla mappa e tornarsene a casa dal suo Master. Doveva fare così, ma l'idea di aver girovagato tutta la notte per giungere a quel misero risultato era quantomai avvilente. Probabilmente sarebbe crollato per il sonno se avesse ascoltato le istruzioni che gli erano state impartite. Eccolo dunque lì, a strisciare fuori dall'acqua, per poi accovacciarsia terra in stile ranocchio, con il naso puntato al'insù, verso le finestre rotte di quella fabbrica. Attorno, vetri rotti e alcuni attrezzi da lavoro. Dall'interno, puzza di plastica e una fortissima traccia magica. Quatto quatto, Caster recuperò un paio di quegli attrezzi. Ne prese uno e, senza pensarci due volte, lo gettò all'interno di una delle alte finestre rotte in precedenza. Solo quando sentì il suono metallico dell'utensile che cadeva a terra, si preperò a lanciare il secondo. Prima però, attese qualche istante, per vedere se il suo nuovo compagno di giochi avrebbe dato qualche segno di vita. Poi, lanciò anche il secondo. "EHIIIIIIII! Vieni a giocare?" urlò prima di saltellare indietro, lontano dalla parete dell'edificio, per tornare vicino all'acqua. Gli avrebbe dato corda?
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    Chiedo perdono se il post è un pò scarno ç-ç ma devo entrare nell'ottica della caratterizzazione senza troppe reference per non farti sapere chi è Caster
     
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    Figurati, è perfetto ❤


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    Chiedermi di aspettare significava sperare che un incendio frenasse la sua corsa e mettesse a tacere la sua fame. Era impossibile. Tuttavia stavo facendo del mio meglio per frenarmi e attendere che il mio avversario si palesasse. Sapevo che qualcuno sarebbe arrivato: non stavo facendo nulla per nascondere la mia traccia magica, anzi, la stavo gonfiando alimentandola con l’ossigeno che stavo bruciando massivamente. Avevo voglia di sporcarmi un po’ le mani e non ne potevo più di aspettare. Che senso aveva, altrimenti, essermi risvegliata, aver assunto questo aspetto, se non potevo giocare un po’ con gli altri partecipanti alla Guerra? Gettai la testa indietro, occhi chiusi. Percepivo i lunghi capelli rossi accarezzarmi la schiena e scoprii che era una sensazione piuttosto piacevole. Non avevo mai avuto un corpo come questo, ma dovevo dire che mi ci trovavo piuttosto bene. Era esile, ma non per questo fragile e adoravo il contrasto che si era creato. Mi piacevano i capelli rossi, mossi, che mi sfioravano la pelle ad ogni movimento e che i gonfiavano con l’aria, ricordando le lingue di fuoco che avevano costituito il mio corpo originario prima che… beh, prima che morissi. Dovevo smetterla di ricordarmelo. Detestavo quella parte della mia esistenza e desideravo porvi rimedio quanto prima, ma se continuavo a soffermarmici non avrei fatto altro che incrementare il fastidio e il nervosismo per quanto accaduto. “Ingrato di un Howl.” Sapevo che non era vero, ma mi piaceva sostenerlo. Quanto avrei voluto rivederlo per sputargli addosso tutta la mia frustrazione! Chissà che fine aveva fatto. Non che lo avessi cercato attivamente da quando il Graal mi aveva riportato in vita, ma non mi era capitato di imbattermi in sue tracce, quindi non sapevo se fosse ancora vivo e cosa stesse facendo, adesso. Con ogni probabilità se la stava spassando con Sophie da qualche parte. Digrignai i denti e affondai le unghie nel tavolo di metallo che si piegò sotto il mio calore.
    Un tonfo sordo mi spinse a voltare repentinamente il capo e vidi uno di quegli attrezzi che avevo gettato fuori dall’edificio nuovamente all’interno dello stesso. Sollevai la testa verso la finestra che avevo rotto e un sogghigno mefistofelico mi distorse le labbra. “Finalmente sei arrivato!” Agitai le gambe che penzolavano sotto il tavolo e le dondolai come se mi trovassi seduta su un’altalena. “ECCOLO!” Il secondo attrezzo lanciato nuovamente dentro la fabbrica, questa volta accompagnato dalla voce del mio avversario. Supposi fosse il mio avversario, anche perché non vedevo la ragione che avrebbe potuto spingere un’altra persona a comportarsi in questo modo. Con ogni probabilità si trattava di qualcuno attratto dalla mia impronta magica che, finalmente, aveva risposto al mio richiamo. Mi chiamò al gioco e il mio pensiero corse ai bambini mortali che suonavano al citofono dei loro amichetti chiedendo loro se potessero scendere a giocare nel cortile del palazzo. Ok, forse avevo frequentato troppo i mortali, per aver richiamato alla memoria un’immagine così tanto stereotipata e banale. Forse avrei avuto bisogno di ritirarmi tra i miei simili, tra altri demoni, ma la verità era che mi piacevano i mortali. Mi divertiva vivere con loro e vederli strisciare nel terreno cercando di sopravvivere!
    Avevo preparato il mio campo di gioco all’interno della fabbrica, ma non mi sarebbe dispiaciuto uscire. In fin dei conti, all’aria aperta avrei ovviato al problema dell’acciaio delle pareti della struttura. Non mi dispiacque di aver vandalizzato la palazzina frantumando i vetri, anzi, non ci pensai affatto che avrei potuto risparmiarmelo, considerando che avremmo giocato fuori.
    «ARRIIIIIVOOOO» esclamai saltando giù dal tavolo e uscendo dall’edificio. Non mi ci volle molto per individuarlo, nonostante l’oscurità. Si era sistemato vicino all’acqua e nonostante il campanello d’allarme risuonasse nel mio cervello come una sirena d’ambulanza, lo ignorai bellamente per intrecciare le mani dietro la schiena e saltellare verso di lui. «Mamma ha voluto che le promettessi che non avrei fatto tardi» risposi per giustificare il presunto ritardo con il quale lo avevo raggiunto. Mi mantenni a una distanza di un paio di metri dal mio elemento opposto, ma se avesse voluto schizzarmi, ci sarebbe riuscito senza particolare difficoltà. Soprattutto evitavo con quella distanza che mi tirasse in acqua. Ecco, quello sarebbe stato piuttosto spiacevole. Puntai gli occhi su di lui, studiando il suo aspetto. Poteva dire tutto come nulla, ed io ero la riprova che l’aspetto di un Servant non significasse alcunché. «Sono così contenta che tu abbia risposto alla mia chiamata, per un momento ho pensato che sarei stata costretta a giocare da sola!»
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    Caster non era un grande frequentatore dei luoghi affollati. Nè, a dirla tutta, delle persone in generale. Aveva sofferto l'isolamento, in alcui momenti della sua esistenza, ma comunque non si sarebbe mai lanciato in una stanza ricolma di gente. Alla fine, la solitudine era diventata la sua dimensione. In quella nuova vita, di conseguenza, combatteva tra l'irrfrenabile desiderio di scoprire e vedere di più - desiderio che non si era mai spento e che forse era alla base di quella sua comparsa in quella guerra del Graal - e ciò che lo aveva sempre caratterizzato: il bisogno di sentirsi al sicuro. E sebbene quell'aspetto avrebbe dovuto avere la meglio, la realtà dei fatti era ben diversa. In fondo, gli Spiriti Eroici evocati dal Graal erano sì creature esistite in un passato lontano o individui forgiati da miti e superstizioni, ma non erano esattamente le stesse persone, gli stessi uomini e donne. Il patto con il Graal, la magia, dava loro non solo un aspetto diverso ma anche un'essenza diversa. I Berserker ne erano l'esempio più lampante ma non erano i soli. E Caster, in effetti, ne era la rappresentazione perfetta. Altrimenti perchè avvicinarsi a quell'ammasso di lamiere fumanti che emanavano un odore tremendo, in grado di fargli vomitare i suoi ultimi duecento pasti? Il Caster originario non avrebbe mai agito così: sarebbe nuotato via lontano da lì. Ma il Caster originario aveva un'altra faccia e non si sarebbe mai definito un Caster. In effetti, se gli avessero chiesto a quale classe si sentiva più affine, non sarebbe stato in grado di sceglierne una. Non si trovava a suo agio in nessuna di quelle definizioni, dunque aveva deciso di farsi andare bene quella scelta dal Graal. In fondo, era solo un'etichetta, che problemi poteva dargli? Certo, vincolava le sue capacità ad un range molto ridotto e non sempre coerente con chi era stato in vita, ma supponeva che le famose "seconde occasioni" non potessero arrivare gratuitamente. E se quello era il prezzo da pagare bhe, se lo sarebbe fatto andare bene. Non era un tipo schizzinoso, prendeva quelo che gli capitava. E quella sera gli era capitata una scatola di latta fumante, formato famiglia. Chi è che stava arrostendo? C'era un barbecue fuori programma? Oppure i diretti interessati avevano già finito di fare e pugni e quello a cui stava assistendo era solo il residuo di uno scontro? No, la traccia magica era troppo forte perchè potesse essere solo il rimasuglio di qualcosa di più intenso. Così decise di annunciarsi in pompa magna, come avrebbe fatto un bravo bambino dispettoso: lanciando oggetti.
    Ed ecco lì il suo avversario: finalmente la traccia magica - forte, MOLTO forte - aveva una faccia! Sorridendo con la sua bocca larga e i denti bianchissimi, Caster rimase accucciato in perfetto stile ranocchio accanto alla riva. In effetti, avrebbero potuto scambiarlo per il principe azzurro appena ri-trasformato in umano dopo una vita da ranocchio dal bacio del ero amore. C'era una favola del genere, da quanto aveva capito e non aveva potuto fare a meno di domandarsi se anche i personaggi delle favole avessero un possibile posto nella Guerra del Graal. Insomma, sapete che forza trovarsi davanti la Bella addormentata nel Bosco, che magari era in grado di farti cadere in un sonno perpetuo? Ma probabilmente il Graal non arrivava a tanto dunque quella davanti a lui doveva essere una qualche creatura ben più concreta e meno fiabesca. Di sicuro, non la bella addormentata. "Anche la mia mamma mi ha fatto le stesse raccomandazioni prima che uscissi di casa" replicò, senza perdere quel sorriso un pò beone e da idiota che gli dava un'aria da rospo ancor più della sua postura. Un bambinone troppo cresciuto in un corpo che non sembrava apaprtenergli davvero: la maschera messa su dal Graal si adattava alla sua personalità eppure non alla perfezione. "ALLORA GIOCHIAMO!" urlò con voce stridula, facendo una capriola all'indietro per tuffarsi diettamente nelle acque scure dell'oceano. Ne riemerse pochi istanti dopo, solamente con gli occhi e il naso, come avrebbe potuto fare un coccodrillo o un alligatore. Una luce tutta nuova, quasi ferale, ne illuminava ora gli occhi, fissi sull'avversaria. Attorno a lui, la superficie aveva già iniziato ad incresparsi, come se il vento avesse improvvisamente iniziato a soffiare, con sempre maggior intensità attorno a loro. "Sarà DIVERTENTE!" la sua stessa voce, ora, sembrava venire dalle profondità del mare.
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    Mi aprii in un sorriso pericoloso, osservando i movimenti del mio avversario. Ormai era chiaro che lo fosse, e non lo avrei chiamato diversamente. Ancora non capivo a quale classe appartenesse, ma mi interessava relativamente. Non ero il tipo da cimentarmi in strategie militari: non mi importava sapere se brandisse una spada o un arco perché mi sarei adattata facilmente di conseguenza. Ero determinata ad ignorare le varie relazioni tra le classi: non avrei lasciato che fosse il Graal a dirmi da chi dovevo guardarmi e su chi, invece, avrei avuto la meglio. Sapevo che non era così che funzionava, nella vita vera. Il Graal, all’interno del suo spazio vitale, poteva pensare quello che voleva e dividere i suoi pezzi sulla scacchiera come meglio credeva, ma sul campo di battaglia, quello vero, le cose erano ben diverse. Erano altri i fattori che concorrevano a determinare una vittoria e una sconfitta, ed io sapevo bene come volgere una mano a mio favore. In verità non ero una guerriera. Non lo ero mai stata. Non avevo preso parte a battaglie eroiche, né avevo sventolato uno stendardo recante la mia effige. Semplicemente, non avevo bisogno di combattere, di prendere parte ad una guerra. Io vincevo, sempre e comunque, per i miei natali. Ero uno dei più antichi e primordiali demoni, ero una creatura fatta di fuoco, ero il fuoco e tanto bastava a garantirmi il trionfo sempre e comunque. A differenza di altri Spiriti evocati dal magico artefatto, non c’erano leggende da brividi su di me, ma io, di leggende, non avevo bisogno. Non era necessario che la mia memoria venisse omaggiata con miti e favole epiche narrate da nonna a nipote e via così per le generazioni: io ero e avrei continuato ad esistere. Pur vero che ero accidentalmente morta, ma avevo tutta l’intenzione di non compiere lo stesso errore un’altra volta. Ecco perché avevo tutta l’intenzione di reclamare per me il diritto di esprimere un desiderio davanti al Graal. Avrei chiesto di tornare in vita ed allora avrei potuto cancellare questa piccola e fastidiosa parentesi dalla mia memoria.
    Differente da qualsiasi stratega militare, non stavo pianificando le mie prossime mosse. Avrei agito seguendo l’istinto, basandomi su ciò che avrebbe fatto il mio avversario. Ancora non sapevo in che modo avrebbe combattuto, ma la sua vicinanza alla mia nemesi mi indispettiva. Sapevo che non sarei stata più prudente perché avrei rischiato di bagnarmi: non mi interessava affatto di indietreggiare di qualche passo per allontanarmi dall’acqua o per spingere il mio avversario a seguirmi. Non ci pensavo, semplicemente. Ero forse fin troppo sicura di me e sebbene non mi sarei certo tuffata, non avrei nemmeno giocato in difesa. Attaccare, sempre e comunque, quello era il mio modo non solo di combattere, ma di vivere. Solo in un’occasione ero stata in difesa: quando Howl mi aveva imprigionato con un contratto e mi aveva legato al suo castello volante. Prima di allora e da allora non avevo mai combattuto in difesa e non avrei certo cominciato adesso.
    «Avanti, allora, fammi vedere i tuoi giocattoli» commentai inclinando la capo verso un lato e lasciando che le morbide onde rosse scivolassero sulla spalla.
    Intrecciai le mani dietro la schiena e camminai avanti e indietro lungo la sponda, pur mantenendomi a debita distanza. I miei piedi seguivano una linea immaginaria ed io ero una ginnasta sulla trave che manteneva l’equilibrio per non cadere. Sciolsi le dita ed allargai le braccia per evitare di scivolare dall’attrezzo immaginario. Anche se avevo smesso di guardare direttamente il mio avversario, con la coda dell’occhio ero pronta a cogliere il suo più piccolo movimento. Pazza sì, ma stupida no! Non mi sarei certo lasciata colpire alla sprovvista! Per quanto mi riguardava, avevo ossigeno a sufficienza per alimentare tutte le fiamme di cui avessi avuto bisogno. Mi ero anche già surriscaldata a sufficienza, perciò l’incendio sarebbe divampato bello corposo sin da subito. E non vedevo l’ora di cominciare! Però, appunto, avrei lasciato che fosse lui a compiere la prima mossa. Dovevo capire il ruolo dell’acqua in tutto questo e, soprattutto, come lui l’avrebbe sfruttata. Perché era certo il suo legame con quell’elemento, ma poteva trattarsi di un legame innocuo, come di uno più preoccupante. Non troppo, comunque. Non temevo per la mia sorte: sapevo già come sarebbe finita.
    Gonfiai il petto e percepii le fiamme ribollirmi nei polmoni. Mi sentivo come un drago, pronto a sputare fuoco sui fastidiosi individui che erano penetrati nella sua tana. Le vertebre lungo la schiena si distesero, reattive per fornirmi l’elasticità necessaria per combattere. Ero pronta e, dannazione, non vedevo l’ora di cominciare! Ero stata ferma troppo a lungo: avevo bisogno di sfogarmi e di esplodere. Avevo bisogno di divorare con le fiamme ciò che mi circondava. Volevo vedere levarsi il fumo e sentire le sirene di quegli stupidi pompieri che prontamente sarebbero intervenuti per fermare l’incendio. Come se fosse possibile placare le mie fiamme con i loro pavidi getti.
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    Stava contravvenendo a tutte le indicazioni del suo Master. Le istruzioni erano state chiare: cercare informazioni e tornare alla base. Ma quella pericolosa routine aveva avuto luogo troppe volte e Caster era un pò stanco di starsene lì a sguazzare nelle profondità del mare. Era rimasto nascosto per tutta la durata della sua vita, rischiando di passare per Leggenda o creatura inesistente e si era stufato. Non aveva chiesto una seconda occasione per finire nello stesso modo. Per quanto rischioso, voleva concedersi una possibilità, nonostante la Guerra non fosse nella sua natura. Era una creatura alquanto schiva e pacifica, ma il Graal non concedeva la possibilità di scegliere per quali funzioni tornare in vita. I Servant avevano solo e soltanto la Guerra del Graal, niente di più e niente di meno. Questo comportava che, per vivere di nuovo, doveva fare quanto gli era stato indicato. ma il suo Master ora non c'era e lui era ad un passo dalla battaglia. Se mai avesse iniziato a combattere, mai avrebbe potuto avvicinarsi alla vittoria. In molti, infatti, sostenevano che il Graal scegliesse i vincitori solo tra coloro che erano scelti in campo. Restare in disparte, nascosti, senza muvoere mai un muscolo, rendeva indegni della sacra coppa. Nessuno pretendeva che no da solo eliminasse tutti i nemici, ma doveva quantomeno combattere qualche battaglia. Non per forza con onore, ma doveva farlo.Se fosse fuggito in quel momento, cosa ne sarebbe derivato? Era certo che il mago che lo aveva scelto come Servant avrebbe fatto esattamente quello: rimanere nascosto tutto il tempo per poi cercare di ottenere il premio finale. E Caster non poteva assolutamente permetterselo. L'altra Servant lo sfidò, mentre danzava su un filo immaginario e lui, rannicchiato come un ranocchio, la osservava come se fosse una vera funambula sul punto di cadere giù dal filo, schiantandosi al suolo. Restò assorto per qualche istante, per poi compiere un balzo all'indietro: una capriola in aria, eseguendo un tuffo perfetto che lo fece sparire sotto la superficie dell'acqua. Si immerse nel mare scuro mentre a riva continuava a crepitare quell'incendio che poteva divorare il polo industriale. Quella sensazione familiare lo aiutava sempre a schiarire le idee e, un sitante dopo, stava già riemergendo dall'acqua, ma solo con la parte superiore della testa: il cranio, gli occhi e il naso, quelli gli elementi ben in vista. Come un coccodrillo che osserva la preda dal pelo dell'acqua, Caster teneva sotto controllo la giovane piromane. "VA BENE!" un urlo poco chiaro, più simile al rumore di chi fa le bolle sott'acqua, ma il cuo eco si spandeva comunque nell'aria, come il suono delle onde della risacca. Immerso in quello che era il suo elemento, Caster iniziò a far increspare la superficie liscia dell'acqua che, placida, si infilava in quell'insenatura lungo la costa. Il vento non soffiava, ma il pelo dell'acqua danzava. In principio solo piccole increspature. Poi, onde sempre più alte, come quelle del mare in burrasca. Sapeva che era sciocco agire per primo e meglio sarebbe stato lasciare che l'avversario scoprisse per primo le sue mosse. Ma non aveva tempo: se il suo master si fosse accoto che qualcosa non andava, avrebbe usato una magia di comando per riportarlo indietro. E lui non poteva permetterselo. Quel movimento dell'acqua era un avvertimento neanche troppo velato, ma che aveva vita breve: ecco che, all'improvviso, l'acqua si rialzò con violenza, trascinando con sé Caster. "Perchè non vieni in acqua anche tuuuu? Ci sarà da divertirsi!" Le urlò mentre la corrente lo portava via, in cima al cavallone che, con violenza, stava per abbattersi a riva: perchè in fondo quello era il suo elemento. Acqua, malleabile acqua, spumeggiante ed imprevedibile. Non badò a spese: si sarebbe forse dovuto trattenere, muovere solo un pò d'acqua e non tutto il circondario, ma voleva chiuderla in fretta. L'importante non era quanto sarebbe durato il gioco, ma portarlo a termine vincendo. Quantomeno in quel momento. Giocare, in realtà, sarebbe stato meglio. Giocare e basta, divertirsi sguazzando nell'acqua. Ma, purtroppo per Caster, quello non era il suo destino. Così aveva smosso il mare e ora puntava verso Calcifer: tanto con l'acqua quanto con il suo stesso corpo. Trascinato dall'onda, braccia protese verso di lei, come per cingerla in un abbraccio caloroso ma mortale, non appena la avesse raggiunta con l'acqua.
    Smoke on the water, fire in the sky
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    Età: Millenaria
    Abilità magica: Pirocinesi
    Arma nobile: Il respiro di Calcifer
    Non fui impressionata dal tuffo carpiato che il mio avversario compì, immergendosi nuovamente in acqua. Sarebbe stato degno di nota se si fosse tuffato nell’incendio e fosse sopravvissuto alle fiamme… Oh, aspetta, quella ero io! Di un individuo che fosse in grado di immergersi nell’acqua torcendo il corpo ne era pieno il mondo, e non era affatto un’abilità sensazionale. Mi voltai verso di lui, notando la sua somiglianza con un coccodrillo seminascosto dall’acqua e mi domandai se quel Servant non fosse la personificazione umana di qualche coccodrillo famoso. L’unico che mi veniva in mente era Tick-Tock, il coccodrillo di Peter Pan. “No, aspetta!” richiamai la mia attenzione su un ricordo lontanissimo. Forse me ne aveva parlato Howl? O forse l’origine di tale memoria era ancora più antica. Forse faceva parte della mia vita prima che mi sottomettessi al contratto con Howl. Apparteneva a quando ero libera e temuta, apparteneva ad un’epoca in cui gli umani erano ancora rispettosi e schiavi delle forze che non riuscivano a spiegare. Quando gli umani ancora credevano e non quando si credevano in cima al mondo. Oltre al più simpatico Tick-Tock la storia terrestre aveva conosciuto un altro coccodrillo. Si chiamava Sobek, ed era legato alla cultura egizia. Non rammentavo, però, cosa rappresentasse nello specifico, ma adesso sì, la mia memoria era pressoché certa che Sobek fosse un coccodrillo del Nilo e che fosse una creatura particolarmente potente. “Ovviamente non quanto me” ebbi la premura di specificare, per amor proprio, anche se il ragionamento si svolgeva esclusivamente nella mia mente. Mi mordicchiai l’interno della guancia, estremamente soddisfatta dal corso dei miei pensieri. Forse lo avevo smascherato. Forse avevo scoperto il suo nome, e di conseguenza detenevo il sommo potere su di lui. “L’ideale sarebbe se riuscissi a ricordare le sue caratteristiche” mi corressi. Lo scopo di mantenere segreta l’identità dei Servant era proprio questa: non tanto perché al nome si vincolasse chissà quale legame o potere, quanto più perché conoscendo l’identità di un avversario, se ne conoscevano anche i punti deboli.
    Sfortunatamente era già un grande risultato che mi fossi ricordata il nome, figurarsi i punti deboli. Nemmeno rammentavo cosa rappresentasse Sobek per la cultura egizia. Eppure dovevo saperlo. Avevo vissuto in quell’epoca: ero scesa sulla terra ed avevo preso coscienza quando il fuoco era stato scoperto dai mortali, quindi da qualche parte nella mia memoria doveva esserci il cassetto relativo con tutte le specifiche che, eventualmente, mi avrebbero aiutato a vincere. Sfortunatamente, però, non c’era verso di sbloccare tale cassetto.
    “Va bene. Fa niente. Improvviserò” conclusi. Tanto sapevo già che avrei vinto, non mi serviva sapere in che modo sconfiggere Sobek.
    Mi piegai in avanti, portando una mano aperta all’orecchio per lasciare intendere che non avevo sentito bene. «Scusa, bimbo, se non tiri fuori la bocca dall’acqua non ti capisco» asserii aggrottando le sopracciglia per conferire alla mia espressione tratti ancora più confusi.
    Mi aprii poi in un sorriso decisamente da invasata quando scorsi le acque incresparsi verso la sponda. Come su un’altalena, seguivo il movimento lento ma dall’incremento esponenziale delle onde e, contemporaneamente, il mio sorriso si allargava.
    C’era un campanello di allarme che squillava con fastidiosa insistenza nella mia testa, nel fondo della mia mente, e che mi diceva che avrei fatto bene a chiuderla subito, a sferrare il mio attacco prima che il mio avversario sferrasse il suo, ma volevo aspettare. Ero attratta e allertata da quell’elemento che era opposto al mio. Accadeva la stessa cosa quando un mortale rimaneva incantato ad ammirare la devastante potenza di un incendio: il meccanismo psicologico era lo stesso. Più una cosa costituiva una minaccia per noi, più ci attraeva. “Mi sto davvero paragonando ai mortali?” Sgranai gli occhi cancellando quella constatazione e tornando a concentrarmi sulle onde, che ora rappresentavano la potenza devastante di uno tsunami: l’acqua si era ritirata e si era sollevata, portando con sé anche il Servant.
    «Non ho portato il costume. Preferirei non bagnarmi, sai com’è» risposi indietreggiando di un paio di passi.
    Avevo un paio di opzioni che mi avrebbero consentito di segnare un punto a mio vantaggio: avrei potuto scatenare la mia Arma Nobile e cercare di soffocare il mio avversario, oppure avrei potuto intrappolarlo nella mia fortezza ed approfittare della sua confusione per finirlo. Tuttavia non volevo mostrargli subito tutta la mia forza, nonostante fossi perfettamente consapevole di essere in svantaggio. Tutta quell’acqua era fastidiosamente minacciosa, ma se anche mi fossi bagnata un pochino, non mi sarei di certo spenta. E tutta quell’acqua non doveva distrarmi dal mio vero avversario: lui. Il coccodrillo. Avrei dovuto colpire lui, il resto sarebbe stato un danno accettabile. L’incendio della fabbrica sarebbe stata la mia riserva di energia: avrei potuto nutrirmi con quelle fiamme per incrementare la portata dei miei attacchi senza creare la Fortezza o utilizzare la mia Arma Nobile.
    Sollevai una mano davanti al viso, le dita spalancate, e una fiammella che volteggiava tra esse. Il coccodrillo era ancora troppo lontano perché potessi raggiungerlo, così avrei dovuto aspettare. «Il tempismo è tutto» mormorai praticamente tra me e me. Aspettai che si avvicinasse, l’umidità dell’acqua che galoppava verso di me mi si appiccicava ai capelli.
    Dovevo essere più veloce della pioggia che mi avrebbe colpito: dovevo scagliare le mie fiamme con precisione verso il coccodrillo prima che le onde si ripiegassero su di noi e le spegnessero. E fu proprio ciò che feci: attesi il momento perfetto, rallentando il battito del mio cuore impazzito e solleticato dall’adrenalina, concentrandomi sul mio respiro per darmi il giusto tempo. Attesi ed attesi, e poi la fiammella divenne fiamma, divorando ossigeno si alimentava nella sua folle corsa dalla mia mano alla testa di Sobek, mentre con un salto io mi buttavo di lato per impedire alle onde di prendermi.
    I feel it deep within,
    it's just beneath the skin
    I must confess that I feel like a monster.
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